Pomeriggio edificante quello organizzato dalla nostra Associazione il 3 settembre, al Complesso Monumentale di Santo Spirito in Sassia – cuore del cuore della nostra capitale.
Un tempestoso acquazzone ha tentano di scoraggiarci, ma, alla fine, la mite determinazione dei lucani ha vinto, sicchè ci siamo ritrovati in una prima sala le cui pareti interamente affrescate ci hanno riportato i volti della storia di questo complesso che vanta ben undici secoli di nobili tradizioni di ospitalità e ben otto di ininterrotta vita ospedaliera; secoli di cura verso gli ultimi, i più poveri, ammalati, donne diseredate e bambini abbandonati. Ci ha accolto la squisita gentilezza della Dott.ssa Patrizia Ricca, Responsabile della conservazione documentale della ASL Roma 1, che ha accresciuto il privilegio di cui abbiamo potuto fruire, fra l’altro gratuitamente, per gentile intercessione della socia dott.ssa Maria Alba Stigliano, che in quell’Ospedale esercita la sua missione di medico.
Scoprire le Corsie Sistine, il Chiostro, il ciborio di Andrea Palladio e il magnifico, superbo Salone del Commendatore ha portato alla nostra meravigliata vista tesori di straordinario valore artistico, storico e umano. E’ come aver fatto un viaggio nel mito, nella storia e nella sanità ancor prima che lo stesso concetto di sanità fosse civilmente pensato e soprattutto strutturato. A questo riguardo credo sia importante ricordare antefatti storici.
L’avvento del Cristianesimo fece nascere negli uomini un inusitato sentimento filantropico, lo testimoniano le parole di Tertulliano: ” Noi siamo come fratelli per diritto di natura, nostra comune Madre”, lo stesso Tertulliano che inveì contro i pagani e il loro modo di curare gli infermi, abbandonati all’ingrato destino. Fu così che il sentimento di amore, di carità, di pietà e di sollecitudine verso i malati ricevette un salutare e vivissimo impulso. La nascita degli ospedali, quindi, si attribuisce proprio alla spinta data dalla Cristianità che, anche nelle tenebre delle Catacombe, non mancava di “essere verso i più bisognosi.” Questo sentimento si tramutò, finalmente, in pratica nel 325 d.C. con il Concilio di Nicea I in Bitinia dove i 300 e oltre vescovi, in seduta plenaria, stabilirono che “in ogni città si costruiscano abitazioni dette Xenodochi ed ospizi per i pellegrini, per i poveri e per gli infermi.” Tali abitazioni furono affidate ai vescovi delle varie diocesi: ognuno di essi era considerato “padre dei poveri” e a tal proposito nelle Costituzioni Apostoliche troviamo ”O vescovo, abbi cura dei poveri, quale ministro di Dio, distribuendo a tempo il necessario a ciascuno, alle vedove, agli orfani, ai derelitti, agli infermi e ai disgraziati”. Dopo il Concilio di Nicea I la Chiesa si impegnò fortemente nella realizzazione di Brefotrofi per gli infanti esposti, Orfanotrofi, Gerontocomi per gli anziani non autosufficienti, nonché Xenodochi e Nosocomi, per i pellegrini.
Intanto che la dottoressa Ricca si spendeva amabilmente nella narrazione dettagliata di tutte le bellezze di questo complesso monumentale, è stato sorprendente conoscere il primo bibliotecario della storia che, in forma virtuale -grazie all’intelligenza artificiale-, si è presentato a noi in grandezza naturale pronto ad illustrarci la meraviglia di alcuni tra i più preziosi libri conservati nella Biblioteca che si compone di ben 20.000 volumi.
Il Complesso Monumentale dell’Ospedale Santo Spirito è tra i più antichi d’Europa, è detto ospedale dei pontefici poiché vi esercitavano un controllo diretto fin dalla fondazione risalente al 1198 – erano diretti esclusivamente ai pauperes et infirmi quindi all’accoglienza e allevamento dell’infanzia abbandonata e alle donne povere e donne povere e gravide, tutti da trattare con carità. Quanto ai bambini abbandonati, ebbene venivano accolti ed educati a spese dell’ospedale da persone idonee. Trattavasi per lo più di figli legittimi di famiglie poverissime, illegittimi, figli di prostitute, di ragazze madri indigenti, di serve e ragazze sole; erano detti: filii hospitalis e “criati del S. Spirito”. Per i più piccoli l’Ospedale si era provvisto di balie interne che, per un modesto salario, provvedevano ad allattare o badare ai bambini ospitati ed eventualmente anche ai propri figli. Le balie esterne, che erano le preferite dalla regola dell’Ospedale, erano per lo più donne che vivevano in campagna, in proprietà fondiarie dello stesso S. Spirito, che ne possedeva davvero molte non solo in Italia. In un certo periodo storico, se ne contano ben un migliaio di balie, nutrici stipendiate dal S. Spirito a 12 ducati l’anno; in parte balie che allattavano, in altra parte balie che svezzavano; presso di esse i bambini restavano fino al compimento dei 7 anni dopo di che rientravano nell’ospedale.
Le bambine stavano in un’ala dell’ospedale denominata “Conservatorio delle proiette” dove venivano loro insegnate le arti muliebri, principalmente il cucito e il ricamo, ad alcune veniva insegnato anche il canto; memorabile è una bambina di nome Cencia -creata di S. Spirito- che, tra il 1534 e il 1544 cantò molte volte al cospetto del Papa. L’ospedale si preoccupava, per i maschietti di inserirli nel mondo del lavoro – per lo più artigianale-, per le femminucce di reinserirle in società -mediante il matrimonio-ad eccezione di quelle che facevano voto di castità e restavano in ospedale come suore. Per le prime, era d’uso organizzare, sia per omaggiare il Pontefice e la sua benevolenza, che per fare in modo che trovassero lo sposo, tre processioni all’anno, una alla seconda domenica dell’Epifania, una alla festa di San Marco il 25 aprile e un’altra alla prima domenica dopo la Pentecoste. Alle processioni partecipava il corteo di tutta la familia del S. Spirito con le “zitelle” per ultime a cavallo; la processione, per un miglio, si recava dapprima in San Pietro, poi in Piazza del Popolo, allora porta del Popolo. Quella di Pentecoste era, in realtà, la celebrazione delle nozze delle proiette-zitelle; nozze che il S. Spirito celebrava in modo solenne quale festa del “maritagio” durante la quale si sposavano contemporanea numerose proiette. Nota interessante: nongià l’avvenenza delle proiette quanto piuttosto la dote che esse portavano era ciò che faceva gola ai pretendenti, l’ospedale, infatti, le provvedeva di 100 fiorini correnti oppure di piccoli appezzamenti di terra. A tale riguardo, la dottoressa Ricca ha richiamato alla memoria il caso di un padre di Acquapendente che fece sposare i suoi quattro figli maschi a quattro proiette che portarono ciascuna un piccolo pezzo di terra, i quattro pezzi di terra, adiacenti a quello di proprietà, composero un bel pezzo coltivabile.
Tornando alla storia: le origini del Complesso risalgono al 727 d.C., quando Ina – re dei Sassoni – istituì la “Schola Saxonum” per dare ospitalità ai pellegrini in visita alla Tomba dell’Apostolo Pietro. Il Complesso fu eretto sull’area anticamente occupata dagli “Horti” di Agrippina Maior (14 a.C. – 33 d.C.), costruzioni imperiali, ampi e sontuosi giardini che dal Gianicolo si estendevano lungo la riva destra del Tevere.
Ancora oggi è visibile anche dall’esterno la Ruota degli Esposti, ove era possibile lasciare il bambino in tutto anonimato. Il Complesso è composto dalle Corsie Sistine, dai Chiostri dei Frati, delle Monache e delle Zitelle (o “chiostro del Pozzo”) e infine dal Palazzo del Commendatore. Dell’antica Spezieria, in cui furono condotte numerose ricerche farmaceutiche e dove vennero triturate le erbe medicamentose, sono oggi testimoni le collezioni di mortai oltre che di antichi vasi in porcellana. L’attento restauro, terminato nel luglio 2022, mostra la magnificenza delle Corsie Sistine -realizzate su incarico di papa Sisto IV della Rovere nella seconda metà del Quindicesimo secolo. La struttura, costituita dalla Corsia Lancisi e dalla Corsia Baglivi, è lunga 120 metri e larga 13. Le Corsie furono utilizzate dapprima come luogo di degenza e, dal ‘600, come lazzaretto. Un ciclo di affreschi di scuola umbro-laziale, che si sviluppa su una superficie di oltre 1200 mq, -come estensione- è seconda solo a quella della Cappella Sistina e ne orna il perimetro superiore. Le Corsie sono collegate da un tiburio ottagonale sotto il quale si può ammirare l’unica opera romana di Andrea Palladio, un raffinato ciborio sormontato da due putti attribuiti ad Andrea Bregno, autore anche dei due maestosi portali d’ingresso. Nel corso dei secoli, il Complesso ospedaliero si è ingrandito ulteriormente con l’edificazione della Sala ospedaliera Alessandrina, oggi adibita a sede del Museo di Storia dell’Arte Sanitaria.
La visita, grazie alla generosa sapiente conduzione della dottoressa Ricca, ha avuto anche il momento curioso e sorprendente allorchè -aprendo una porta segreta d’una sezione della biblioteca- ci ha mostrato uno stanzino con la finestrella da cui è dato guardare dall’alto le due grandi corsie che accoglievano i malati.
La nostra Roma e la sua millenaria storia offrono infiniti spunti di riflessione sulla ricchezza delle sue meraviglie, l’appartenere alle associazioni, vieppiù se ben organizzate, consente di appropriarsene.
La citazione che credo meriti d’essere maggiormente ricordata è quella che ebbe a proferire il Papa che volle questa realtà: i malati bisogna trattarli e curarli come principi e, del resto, nella prima sala in cui siamo stati ricevuti è dato averne la prova, si può infatti ammirare il letto a baldacchino su cui giace un malato.