“Dopo appena qualche miglio, si aprì la vista del paese di San Fele, proprio come un sipario a teatro che si alza e mostra il palcoscenico retrostante…”.
E‘ in libreria il libro di Paolo Tomasulo: I Primi Saravalle ed altri sanfelesi – una storia di gente lucana del XVIII secolo.
Paolo Tomasulo, nato a Napoli, oggi vive nelle Marche, a Fano. E’ legato alla Lucania, e precisamente a San Fele, perché è stata la terra di suo padre, dei suoi nonni e dei suoi avi, dove ha trascorso tante festività natalizie e periodi estivi.
Per raccontare una nostalgia, ha creato una storia, ambientata a San Fele nel XVIII secolo, che vede come protagonisti gli antenati della sua famiglia.
E’ uno spaccato della vita contadina ed artigiana di una San Fele di tre secoli fa. Immaginare la vita dei suoi familiari del tempo diventa così un filo conduttore di emozioni, speranze, gioie, sofferenze e tanta umanità.
Ecco come lo stesso autore spiega più dettagliatamente il contenuto della storia nell’ Introduzione:
“In punta di piedi mi presento al cospetto dei miei familiari, di quelli che conosco e di quelli che non ho mai conosciuto, perché hanno percorso quel tratto di strada, che si chiama vita, molti anni prima del mio cammino.
Con tutti divido un nome, anzi un cognome, e forse alcuni tratti somatici che si tramandano per generazione e probabilmente anche taluni atteggiamenti del carattere, levigati dalle esperienze, dai condizionamenti imposti dalla società che cambia e dai territori che nel corso dei secoli sono più volte mutati.
Nelle antiche culture elleniche, i domestici lari avevano il ruolo di protettori della famiglia. Da loro si attendevano oracoli e soluzioni delle più diverse problematiche. Erano, di fatto, come gli angeli custodi, le cui effigi ci sono donate dalla religione cattolica, e vero, verosimile o improbabile che sia, bastava il loro richiamo per lenire le ansie e le preoccupazioni.
Ai miei cari familiari del passato ho spesso rivolto il mio pensiero. Ho cercato di immaginare quale possa essere stata la loro esistenza, la loro vita quotidiana, ho cercato di tracciare alcune coordinate immaginarie per costruire delle linee di vita parallele con la mia, ma l’assenza di una concreta documentazione, mi portava troppo spesso a sfociare nella fantasia e nell’immaginazione, e queste ultime, per quanto siano potute apparire suggestive ed a tratti divertenti, mi facevano capire che le mie costruzioni erano solo fumose ed inconsistenti.
D’altro canto, mi sono detto, anche la fantasia è capace di emozionare, anzi, talvolta è la sola che ci riesce. Così ho provato a coinvolgere tutti i miei antenati di tre secoli orsono e loro mi hanno firmato una liberatoria, secondo la quale ho piena libertà di coprire le mie lacune con elaborati della mia immaginazione.
Avrei voluto avvalermi di questo diritto il minimo indispensabile, cercando di dar vita ai personaggi con il loro giusto nome, raccontare le loro storie reali e riempire queste pagine con dei racconti realmente vissuti; invece non è stato proprio così, perché di tante informazioni ne ero privo. Più fortuna ho avuto con le rappresentazioni di corollario: è sorta immediatamente l’esigenza di far interagire fra loro i protagonisti in una società, come quella sanfelese del XVIII secolo, le cui raffigurazioni sono state estrapolate da fonti storiche generiche, più facilmente reperibili; ho quindi aggiunto alcuni episodi ed aneddoti, realmente accaduti ma a generazioni certamente a me più vicine, con le dovute modifiche che la trasposizione storica imponeva.
Molto spesso, ciò che mi affascina particolarmente è rappresentato dai proverbi, dai modi di dire. Sono queste pillole di verità che si tramandano nei secoli; nascono da stili di vita ed abitudini ormai vetuste, ma misteriosamente sono sempre attuali ed efficaci. Per questo motivo, ho provato a mettere in bocca ai miei personaggi proprio queste perle di saggezza, facendo appello alla memoria ed a una ricerca sui proverbi lucani, certo che tutto questo avrebbe rappresentato un solido ponte fra il passato ed il presente.
La descrizione del territorio è frutto della mia osservazione personale, agevolato dal fatto che San Fele ha conservato intatto lo spirito e la natura della sua origine storica, ed in alcuni casi anche l’architettura del luogo riporta direttamente ai tempi antichi.
La storia è ambientata in piena epoca borbonica, e sebbene il sito fosse distante dalla capitale dell’epoca, molti sono stati i riferimenti che mi hanno aiutato a disegnare gli aspetti dell’amministrazione, della legislazione, dello sviluppo stradale e monetario, insomma, della cornice generale drappeggiata con i vessilli dei regnanti spagnoli. Tutto questo è finito in un gran frullatore… forse è meglio dire mortaio, per essere più adeguato ai tempi; dopo un sufficiente lavoro di gomito, è uscita la storia che spero mi onorerete di leggere.
Voglio solo precisare, ancora una volta, che tanto di questo racconto è frutto di pura invenzione, quindi innumerevoli saranno gli errori e le incongruenze storiche. Il mio intento è stato solo quello di provare a dare voce a questi personaggi e proiettarmi con loro in un contesto antico ma familiare.
I Tomasulo del ‘700, secondo le mie visionarie riflessioni, sono quelli che hanno acquisito il soprannome di Saravalle, che ancora oggi li caratterizza, e pertanto sarà narrato anche come e dove quest’appellativo è sorto.
La storia narrata, quindi, non possiede una sua cronologia necessaria. Non esiste cioè alcun fatto essenziale dal quale si dipanano le trame del romanzo; si basa semplicemente su un evento occasionale che porta Gaetano Romano, personaggio di pura fantasia, a raggiungere il remoto borgo di San Fele, nella provincia di Basilicata, nel 1735, al fine di consentire la costituzione del nuovo catasto del regno, per ordine di Carlo III, re di Napoli. Gaetano conoscerà Francesco Tomasulo, il primo nominativo della sua lista, e con lui comincerà un dialogo che molto presto andrà ben oltre il noioso ufficio notarile che lo stesso Gaetano si attendeva. Francesco, di par suo, farà ben oltre che mostrare i documenti del suo palazzo: comincerà a raccontare la propria vita e quella della sua famiglia, introdurrà il suo ospite nel basilare ed al contempo complesso sistema della civiltà contadina di San Fele, tanto remota dalla capitale e per questo tanto differente.
Ne viene fuori uno spaccato emozionale, dove le descrizioni inseguono non tanto gli eventi, ma i pensieri, le suggestioni, le aspettative. Molto spesso… (troppo spesso) si cade nella tentazione di attribuire ad un personaggio dell’epoca le affinità di un suo lontano discendente, ma mi sono avvalso del fatto che tutto è comunque un gioco, e quindi tante cose sono diventate possibili, fino a “scritturare”, come personaggio dell’epoca, direttamente uno vissuto in periodo attuale.l lavoro però, resta comunque un romanzo, e come tale avrà la sua conclusione. Come è ovvio che sia, nulla lascio trapelare in questa sede, ma spero che chi abbia avuto la pazienza e la bontà di completare la lettura di questa prefazione, sia colto da un sufficiente pungolo di curiosità per lasciarsi catturare da questa storia fatta di tante storie.
A nome quindi dei Saravalle, vi offro il benvenuto fra le emozioni lucane del XVIII secolo.”
Di seguito la Prefazione del critico Filippo La Porta:
“Dopo appena qualche miglio, si aprì la vista del paese di San Fele, proprio come un sipario a teatro che si alza e mostra il palcoscenico retrostante…”
Così Paolo Tomasulo ci introduce nel suo diorama fiabesco, in un personale teatro dei pupi dove si ingegna a manovrare con sapienza le marionette settecentesche di un dramma popolare eroicomico.
E si tratta di marionette finemente incise: ricordiamo fra tanti personaggi coloriti almeno lo zio Tancredi, schietto e fieramente antiborbonico: “Completava il quadro della sua configurazione un importante paio di baffi, a copertura, quasi completa, della sua bocca, che spesso allisciava con le mani, specialmente quando era in fase di meditazione e ragionamento”.
L’eroe è Gaetano Romano, il messo notarile, un giovane alle dipendenze del notaio di corte, messer Pedro Guevara, in missione in Basilicata, mentre a Napoli regna Carlo III di Borbone. Nel 1735 viene spedito in quella regione per una complicata riforma del catasto della provincia di Melfi. Ma il registro comico interviene dalla prima pagina, quando Gaetano, venendo da Napoli in groppa a un cavallo, chiede a un pastorello di don Francesco Tomasulo – il primo nome della sua lista – , ma quello resta lì, seduto su un masso e come impietrito, con lo sguardo “rapito dal nulla, posto all’infinito”. Poi risponderà laconico, e imperturbato: “Mang’ ‘ll’er saccio, jie””. Potrebbe essere una scena tratta da “Brancaleone”, solo spostata dal Medioevo al secolo dei lumi. Poi incontrerà Tomasulo, dal quale verrà ospitato, diventandone amico e partecipando in modo attivo alle vicende del piccolo borgo, tra le epidemie di peste, i raccolti della tenuta dei Tomasulo, i matrimoni, le leggende sacre, le omelie di un sacerdote che potrebbe competere con Cicerone quanto a oratoria, le statue della Madonna nascoste nell’incavo di un albero, le turbolente lune di miele chiusi in casa (da cui le donne uscivano spesso con tumefazioni oculari!), il brigantaggio incombente, le gioiose feste musicali d’addio e qualche bicchierino del “pastoso vino Aglianico” preso nelle cantine. Gaetano diventa “eroico” nelle ultime pagine quando si offre generosamente come mediatore, travestito da frate, per riscattare con una somma di denaro la vittima di un sequestro. Di lì un finale assolutamente straniante, immerso nella nebbia, con un varco spazio-temporale degno di un romanzo cyberpunk, ma del quale non possiamo anticipare nulla Paolo Tomasulo ha voluto rendere omaggio alle proprie radici lucane, e ai propri avi, in forma di libera narrazione basata però su una solidissima documentazione, su una puntuale ricognizione storica (c’è un passaggio sul modo di amministrare del re) e sull’intreccio di fatti reali e fatti inventati. Una immersione nel mondo contadino arcaico senza idealizzazioni e senza edulcorazioni – riannodato però al nostro presente. Dunque opera di fantasia, dove però la fiction si alimenta di generi diversi: storiografia “dal basso”, ispirata al metodo delle Annales, con una ricostruzione della vita quotidiana (credenze, pettegolezzi, usanze, caratteristiche dei materassi, abitazioni poco riscaldate, igiene personale, malattie diffuse, alimentazione, descrizione del cavatello…), poi saga famigliare, poi ballata popolare raccontata da uno storyteller poi i viaggi nel tempo di un filone recente della fantascienza.
Innumerevoli i possibili modelli letterari, impliciti e anche solo sfiorati: una comicità tutta legata al corpo, che ci rinvia al mondo boccaccesco (l’episodio del fidanzato sospettato di avere una gamba di legno, dunque con la assoluta necessità di verificare la perfida diceria prima delle nozze), i Malavoglia di Verga (la narrazione anche qui è scandita da proverbi), il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (don Fabrizio, principe di Salina, spiega la Sicilia e la sicilianità all’inviato del governo sabaudo Chevalley di Monterzuolo), il Consiglio d’Egitto di Sciascia (divertissement letterario e romanzo-apologo basato su fatti e personaggi storici) e infine al Giorno del giudizio di Salvatore Satta (potente evocazione negromantica della intera comunità di un paesino sardo). Ma si tratta evidentemente solo di suggestioni, che finiscono – come dichiara l’autore stesso – in un “gran frullatore”, costruito con accuratezza e segnato da una certa grazia narrativa, scritto in una lingua pulita, impastata di dialetto. A un certo punto apprendiamo anche l’origine linguistica del soprannome dato ai Tomasulo, e cioè Saravalle. Gli spagnoli Borbone istruendo il messo notarile sulla geografia dei luoghi dove avrebbe dovuto compiere il suo lavoro per il nuovo catasto, avevano scritto: “… el palacio està situado nel pais donde cierra la valle”. Per ora le distorsioni del tempo appartengono solo alla fantasia, ma se attraverso la più ardita fisica novecentesca siamo almeno in grado di pensarle, allora riusciamo anche a immaginare come gli antenati di Paolo Tomasulo, i suoi “cari familiari” qui evocati, possano raggiungere dal passato il loro pronipote – puntiglioso affabulatore e custode dei Lari domestici – per manifestargli tutta la loro gratitudine, offrendogli un bicchierino di prezioso Aglianico di cantina.
Il Libro è stato presentato a San Fele il 29 Luglio scorso